domenica 8 settembre 2013

Spero solo che in Norvegia sappiano fare un buon caffè. Considerazioni personali a margine del significato odierno di essere italiani. No, questa volta non me la prendo con i politici.

Ho letto questa notizia (fonte: Repubblica.it), mi sono incazzata, e anche parecchio; a me la rabbia si manifesta come un’energia che si concentra al centro delle mani. Niente, per sfogarla, dovevo scrivere. La notizia è questa (citata testualmente dal sito).
"Troppi stranieri in classe". E i genitori italiani ritirano i figli dalla scuola. E' successo a Corti, frazione di Costa Volpino, nel Bergamasco, il più grosso centro dell'Alto Sebino. Nell'unica prima ci sono solo sette bambini italiani, mentre gli altri 14 iscritti sono soprattutto africani (in gran parte marocchini) con qualche albanese e romeno.
Vista la situazione, i genitori degli scolari italiani hanno ritirato i figli iscrivendoli nelle altre scuole di Costa Volpino o delle altre sei frazioni. Negli ultimi casi i genitori hanno detto chiaramente al direttore che se non avesse trovato posto ai loro figli nelle primarie delle altre frazioni li avrebbero portati direttamente in un altro comune.
In un primo momento scuoto la testa sconsolata. Non ho più molta stima dei miei compatrioti (diciamolo pure, da quando hanno dato fiducia alle ultime elezioni a due comici improvvisati politici, con la differenza che uno lo fa da trent’anni e l’altro ci si cimenta da qualche annetto a questa parte), ma ancora una volta devo rassegnarmi alla considerazione che non hanno proprio voglia di crescere, questi italiani. Sì, perché quale occasione migliore per crescere del confronto interculturale? La diversità è la risorsa più bella di questo mondo, immaginate quante cose avrebbero potuto imparare quei bambini italiani che genitori idioti hanno spostato in altre scuole, condannandoli a diventare adulti idioti: termini di lingue differenti, usanze, modi di affrontare il quotidiano. Li avrebbero interiorizzati, probabilmente, avrebbero imparato a conviverci, ad apprezzarne il valore aggiunto, sarebbe diventato per loro qualcosa di familiare, e probabilmente da grandi non avrebbero fuggito un amico marocchino o rumeno, semplicemente perché non ci avrebbero visto il marocchino, o il rumeno, ma solo il ragazzo, il compagno di giochi, poi di studio, poi di innocue sbronze adolescenziali, di qualche stronzata e di qualche successo. E invece, niente.
E qui cade la seconda reazione: sospiro di tristezza. Solo io rimpiango amaramente il fatto di essere cresciuta in una paesino troppo provinciale per conoscere, ai miei tempi, le classi miste? Ricordo ancora che nella mia scuola elementare c’era un bambino musulmano, e la prima volta che l’ho visto pregare ho provato curiosità, di certo non paura. E nessuno dei miei maestri ha colto quella curiosità per spiegarmi bene con cosa mi stavo confrontando: risultato, non mi hanno consentito di crescere. E perché adesso che questa opportunità è più alla portata, dobbiamo ostinatamente chiuderci? Eh, mi verrà obiettato, ma gli stranieri rallentano i programmi! Punto primo: nella mia classe elementare un mio compagno, all’analisi grammaticale, scrisse, di “bambola”, voce del verbo bambolare. E vi assicuro che era italianissimo. Invece, il ragazzo siriano con cui parlai un paio di anni fa, quando il mio paese, Manduria, ospitò i profughi in eccedenza provenienti da Lampedusa, mi prese in giro per il mio inglese stentato a confronto del suo fluente. E poi loro ci rallenterebbero, noi, geni della cultura! Punto secondo: oh, beh, si, forse quei bambini si sarebbero fermati alla tabellina del sette e non avrebbero raggiunto quella dell’otto nel primo anno. O forse non avrebbero potuto imparare Manzoni in terza elementare (Ei fu. Mamma che allegria), e avrebbero dovuto aspettare la quinta, ma almeno avrebbero imparato ad essere dei bambini oggi, e adulti domani, più umani, meno limitati, più completi. Si, avrebbero dovuto affrontare l’8x7 come 7x8, per risolvere una moltiplicazione, ma avrebbero saputo intrattenere delle relazioni umane più belle. Ditemi voi chi ci perde.
E infine, la rabbia. La rabbia perché quei sette genitori paladini della cultura, hanno condannato i loro figli, e dei bambini innocenti. Quei marocchini, quegli albanesi, quei rumeni, restando fra di loro, impareranno più difficilmente l’italiano. Condivideranno meno la nostra cultura. Si integreranno di meno. Continueranno a sentirsi parte di una minoranza svantaggiata. I più fortunati penseranno “e ‘sti cazzi” e faranno vedere agli italiani come si conquista un Nobel per la fisica, ma i meno forti, i meno fortunati, si isoleranno, si emargineranno, non potranno accedere che a lavori sottopagati, perché magari non continueranno a studiare. Già, perché riflettiamoci un attimo: i bambini stranieri non li vogliamo, quindi spostiamo i nostri figli. Poi magari per il numero troppo basso la classe prima elementare a Corti non si forma. E il genitore marocchino che si spacca la schiena tutto il giorno nei campi e non ha la macchina per accompagnare il figlio in un’altra frazione, se già era scettico all’idea di iscrivere il figlio a scuola, magari adesso non lo iscrive proprio più, e lo porta a lavorare con sé. Quel bambino marocchino gentilmente ringrazia per l’occasione persa di avere una vita decente.
Parlandone con un’amica, il pensiero automatico è stato: vabbè! Saranno leghisti. No, impossibile che un intero paese sia tutto in onore alla lega. Peggio: sono italiani. Sono quella razza stupida e ottusa che continua a credere che il vero problema sia la legge bavaglio, o l’esposizione mediatica di Berlusconi, o il fatto che Letta Junior sia nipote di Letta Senior. Che ritiene che il male dell’Italia sia Napolitano eletto al secondo mandato, o lo stipendio di un parlamentare, o il fatto che un politico insulti un ministro nero dandogli dell’orango (con buona pace degli oranghi, paragonati a un medico stimato e politico di tutto rispetto). Perché no:  il vero problema è che quel politico che insulta sul colore della pelle da qualcuno deve pur essere stato eletto. Quindi io, qui, quel “vaff****o” che tanti hanno ritenuto potesse essere lo slogan di una nuova rivoluzione del popolo sovrano (se, vabbè!), lo rigiro al popolo sovrano. Che mi ha stancata, e questa volta faccio sul serio: me ne vado in Norvegia. E quando mi chiederanno “Ah, italiana?!”, risponderò: “no, rumena