lunedì 22 aprile 2013

Racconti da caffè: episodio uno


Allora, allora…avete ragione: questo caffè che accompagna il primo episodio della nostra storia-in-progress si è fatto attendere un po’ troppo, e di questo invoco perdono a tutti voi lettori: purtroppo la scrivente ha una vita incasinata (per le vite altrui, nda) quindi non si è accostata al foglio e alla penna virtuali per quasi due settimane. Bando alle ciance: ricordo a tutti che questo è il primo episodio di una storia che scriveremo insieme. Alla fine di questo primo frammento, infatti, trovate due frasi in corsivo: si tratta di due possibili conclusioni. Nei commenti, indicate quello che preferite, da oggi e per sette giorni: quello che riceverà più gradimenti sarà il prescelto, e da lì ripartirò per scrivere la continuazione. Per il regolamento di questo gioco, rinvio al post precedente: http://ghisola.blogspot.it/2013/03/racconti-da-caffe-episodio-pilota.html.
Buon divertimento!

Il vento soffiava discreto ma inclemente fra le rovine della città a sollevare nugoli di quella polvere antica che era assisa in letargo a coprire macerie testimoni di una vita passata. Maurizio si arrotolò una sigaretta poggiando la schiena al marmo gelido di ciò che rimaneva di una colonna che forse, per secoli, era stata sfiorata in modo timido, perentorio, o appena accennato, da fedeli intimoriti, austeri o annoiati all’interno di una chiesa maestosa ormai distrutta in mille pezzi. Forse, per secoli, la navata silenziosa di quella chiesa si era riempita della luce rossastra dell’alba filtrata dai vetri di un rosone dipinto da mani sapienti d’artigiano, che dall’alto aveva osservato generazioni di praticanti avvicendarsi sul pavimento lustro fino a quando, dopo aver resistito al vento, alle piogge, ai terremoti, era stato vinto dalla stessa forza di chi l’aveva creato: l’uomo. 
E allora quel semplice vetro lavorato a divenire un’opera d’arte, era tornato ad essere soltanto vetro, frantumato in mille pezzi anonimi. Maurizio tenne la sigaretta in bilico fra le labbra e la accese. Mantenendosi in equilibrio sulle macerie che formavano la collinetta su cui si trovava, guardò di sfuggita il cielo sopra la sua testa. Il sole ormai era nascosto al di là dell’orizzonte e diffondeva una luce pallida a sfumare l’azzurro del cielo in un lilla che in poco tempo sarebbe diventato sempre più scuro, fino a incupirsi in un blu messaggero di notte.
Anche oggi, non è un cielo limpido. Non è piovuto, non ha minacciato temporali, non si è nemmeno annuvolato, ma il cielo non è stato limpido, non lo è neanche adesso c’è questa maledetta patina opaca fra me e il cielo non lo ricordo quasi più quand’è stata l’ultima volta che ho visto un cielo terso. Cinque, forse sei anni, forse era un giorno di Natale, forse ero nella casa in campagna dei nonni ma chissà. Forse no.
Maurizio scosse il capo ed espirò il fumo in delle nuvolette che gli volarono davanti agli occhi, poi inspirò dalla sigaretta, assaporando il sapore amaro del tabacco che gli graffiò la gola e calmò il senso d’inquietudine che quel cielo basso, grigiastro, premendogli sulla testa, gli trasmetteva. Abbassò lo sguardo.
La Città, nata quasi vent’anni prima, ai tempi del Fatto, cominciava ad accendersi di luci che, nella vallata artificiale creata dall’esplosione, erano testimoni di quelle vite che si erano coagulate lì, come sangue rappreso delle ferite del Fatto che, in meno di trenta secondi, aveva spazzato via centinaia di città. Anche lì, come nel resto del mondo, le anime umane sopravvissute si erano riunite a mettere su una città.
In attesa di essere spazzate via di nuovo da un’altra decisione, da un’altra svolta, da altri eventi perché accadrà, accadrà prima o poi, presto o tardi chi lo può sapere, lo vedremo o meno non cambia granchè, ma succederà. Io lo so come lo sanno tutti loro. Ma non possiamo vivere aspettando quel giorno. Proprio no.
Un rumore di pietre smosse e cocci calpestati gli giunse alle orecchie. Istintivamente, fece correre la mano all’immobilizzatore laser che aveva in tasca e spiò davanti a se, fra le rovine; una risata allegra risuonò nell’aria e giocò col vento per qualche secondo; Maurizio la riconobbe e lasciò andare l’immobilizzatore con una smorfia scocciata, gettando lontano da sé il mozzicone che gli era rimasto fra le dita.
-         Ciao, Cristian! – squillò una voce familiare. Maurizio rabbrividì, nauseato, e stese il braccio in direzione del corpo piccolo e ben proporzionato che gli andava incontro in un unico movimento sinuoso. Attirò a sé Delia con una decisione un po’ brusca, se la modellò addosso in un abbraccio artificiale e in un bacio forzato cui fece seguire il miglior sorriso che riuscì a sfoderare. I suoi occhi azzurri e allungati nella forma innaturale tipica di una gatta lo squadrarono perplessi, mentre una vaga consapevolezza li attraversava, e poi si schiusero in una smorfia di provocante contentezza.
Hai capito, vero? Hai capito che c’è qualcosa che non va, non sono mai stato un grande attore.
-         Cristian, ti presento la mia amica Atena, - annunciò lei, scostandosi un poco di lato per lasciar intravedere la figuretta alta, stretta in una giacca a vento che cadeva a coprirle i fianchi, le mani nelle tasche e un foulard rosso legato al collo che giocava con il vento. I suoi lunghi capelli neri erano legati in una coda alta e morbida sul capo e mandavano bagliori azzurrognoli alla luce timida del sole di quel pallido tramonto della nuova Era. Maurizio le vide un sorriso appena accennato e scettico sul volto dai tratti spigolosi e allo stesso tempo eleganti; si limitò a sollevare appena il mento in un saluto muto.
Diffidente, attenta, osservatrice, spaventata non potevo aspettarmi diversamente.
Maurizio le tese la mano, quella avanzò lentamente fra i ciottoli e gliela strinse un attimo, velocemente, facendo vagare lo sguardo altrove oltre l’orizzonte pur di non affrontare quello sfacciatamente indagatore di Maurizio.
No, non mi sono sbagliato.
Delia intanto gli passò una mano attorno ai fianchi e gli sorrise come fosse la prima volta che lo vedeva, lasciandogli addosso l’impronta del proprio corpo affascinante in un gesto che voleva essere quello di una gatta che marca il territorio.
Ha fiutato il mio interesse forse crede che lei mi piaccia comincio a credere che tutta questa storia della sopravvivenza ci abbia resi un po’ più animali di prima, un po’ più istintuali e meno razionali se può essere possibile essere meno razionali di quanto non si sia già stati.
-         Lei è la mia amica di cui ti parlavo l’altro giorno; ha studiato storia dell’arte e adesso è in cerca di un lavoro. Pensi che al Ministero potresti trovare qualcosa per lei?  - spiegò Delia.
Atena abbassò lo sguardo e sospirò piano, visibilmente a disagio.
Questa è un’idea di Delia tu non volevi, vero? Preferiresti continuare a fare la consulente per quel paio di musei che sono nati qui e là e che stanno ancora in piedi in questa zona, continuare a racimolare qualche supplenza in giro per la circoscrizione sud intera, piuttosto che chiedere una raccomandazione.
-         In realtà volevo solo sapere se il Ministero stesse avviando qualche selezione, - si affrettò a dire lei stringendosi nelle spalle.
-         Beh, conosco qualcuno al dipartimento Cultura, potrei fare qualche domanda… - abbozzò Maurizio.
-         Oh, avanti! So che con tutta la gente che conosci puoi trovarle un lavoro come si deve, - cinguettò Delia accarezzandogli il viso con due dita.
-         Non c’è bisogno che ti disturbi fino a tanto, te l’ho detto, - insistette Atena con la voce attraversata da un fastidio che nascondeva una vaga rabbia repressa per quell’atteggiamento di Delia che la stava mettendo in difficoltà.
Onesta. Moriresti, per onestà e in questo mondo di onestà si muore, mia cara.
-         Insomma, mi sembra di capire che un lavoro quasi tu non lo voglia, - la provocò lui con un mezzo sorriso di sfida.
-         Non è questo, - si lamentò lei in difficoltà, - è che…
-         Atena è un tipo timido, - sembrò volerla scusare Delia, prima di sollevarsi sulle punta a lasciare un bacio veloce sulle labbra di Maurizio. – Che ne dite di riparlarne davanti ad una tazza di caffè?

CONCLUSIONE 1
-         Ottima idea, - colse al volo Maurizio. Atena strinse le labbra e annuì poco convinta.
CONCLUSIONE 2
-         Adesso devo andare, magari la prossima volta, - mormorò Maurizio lanciando un’occhiata distratta all’orologio.