domenica 24 marzo 2013

Racconti da caffè: Episodio Pilota


Se c’è un momento in cui mi piace sorseggiare un caffè in piena pace dei sensi, comodamente appollaiata sul divano, è mentre sto leggendo un libro, mentre mi sto facendo trasportare lontano dalla magia di qualche storia. E mentre mi godo questo momento rilassante, mi viene in mente un giochino che potremmo fare insieme, per questo vi invito tutti nella mia casa virtuale, vi offro questo caffè e vi spiego che progetto diabolico richiederà il coinvolgimento delle vostre pause caffè e delle mie.
Iniziamo dall’inizio: se ancora non si fosse ben capito, ebbene sì, io di tanto in tanto passo il mio tempo a scrivere. Che sia il post di un blog, un articolo d’attualità, un aggiornamento di stato per facebook, una storia. Da lettrice, se c’è una cosa che non sopporto è chi considera un lettore come un semplice spettatore cui deve essere spiegato tutto, che deve essere preso per mano e guidato attraverso lo svolgersi dell’intreccio o il susseguirsi di considerazioni manco fosse un ebete senza capacità di discernimento, ed è quello che, quando mi dedico a imbastire pagine di narrativa, cerco di evitare con tutta me stessa. Ho letto di gente che non sopporta l’idea che, facendo leggere i propri scritti ad altri, questi poi vivano nell’immaginario altrui in modo diverso da come vi hanno sempre pensato loro. E dire che questa è proprio la cosa che piace di più a me, dell’idea che qualcuno possa leggermi: che quel qualcuno faccia propria una storia che io ho vissuto e riportato in un certo modo, ma che di interpretazioni e visioni possa averne di diverse. La diversità per me è arricchimento, non una minaccia.
Fatta questa opportuna premessa, ho pensato che a questo blog manca un po’ di “interattivismo”: voglio farlo diventare un blog 2.0, e credo che questo significhi passare dallo scrivere soltanto “per voi”  allo scrivere “con voi”, quindi mi è venuto in mente un gioco da fare insieme con voi lettori, il cui libretto di istruzioni ammetto di stare ideando in questo momento, seduta stante.
Sotto l’etichetta “racconti da caffè” troverete una serie di post, che cercherò di pubblicare con una certa regolarità, che si susseguiranno per “episodi”; sono post in cui vi sarà chiesto, per giocare, di commentare, e si comincia proprio da questo post. Come? Al termine troverete due brevi incipit di due storie diverse: commentando dovrete dirmi quale dei due vi piace di più; avrete dieci giorni di tempo per esprimervi, e l’incipit che avrà ricevuto maggiori apprezzamenti sarà quello prescelto, cui nel prossimo post di questa serie verrà dato seguito, e così nei successivi “episodi” di questa storia che si svolgerà post dopo post; al termine di ognuno di essi, vi saranno due frasi diverse che potranno entrambe completare l’episodio. Come per questo post, attraverso i commenti, la frase prescelta costituirà la fine del post corrente e l’inizio di quello successivo (in caso di ex aequo, verrà scelta l’opzione che ha ricevuto il primo gradimento nei commenti). Ovviamente, ognuna delle due frasi condurrà ad uno svolgimento diverso: in questo modo, la storia la scriveremo insieme. Potete commentare liberamente: ad oggi, il caffè con me lo può prendere chiunque, e non ho neanche inserito la moderazione dei commenti, per cui ciò che scriverete verrà pubblicato automaticamente. Non fatemi pentire di questa scelta.
Non so se è un’idea valida, non so se avrà successo; so che inizieremo, ma non so se arriveremo ad una fine. Per ora, però, voglio provarci: quindi buona lettura, e buona scelta!

INCIPIT 1

Il vento soffiava discreto ma inclemente fra le rovine della città a sollevare nugoli di quella polvere antica che era assisa il letargo a coprire macerie testimoni di una vita passata. Maurizio si arrotolò una sigaretta poggiando la schiena al marmo gelido di ciò che rimaneva di una colonna che forse, per secoli, era stata sfiorata in modo timido, perentorio, o appena accennato, da fedeli intimoriti, austeri o annoiati all’interno di una chiesa maestosa ormai distrutta in mille pezzi. Forse, per secoli, la navata silenziosa di quella chiesa si era riempita della luce rossastra dell’alba filtrata dai vetri di un rosone dipinto da mani sapienti d’artigiano, che dall’alto aveva osservato generazioni di praticanti avvicendarsi sul pavimento lustro fino a quando, dopo aver resistito al vento, alle piogge, ai terremoti, era stato vinto dalla stessa forza di chi l’aveva creato: l’uomo.  

INCIPIT 2
Quando Veronica tirò su la serranda, un rumore metallico riempì la stradina ancora addormentata nel topore della mattina. Le finestre chiuse delle case proteggevano la calma delle vite che si stavano risvegliando lentamente e che di lì a poco, correndo verso scuole e posti di lavoro, avrebbero affollato il paese. Veronica si guardò intorno e respirò profondamente l’aria fredda dell’inverno prima di aprire la porta della lavanderia e lasciarsi accogliere dal famigliare profumo di violette dell’ammorbidente che da trent’anni utilizzava e che aveva riempito ogni angolo di quelle stanze in cui da trent’anni lavorava, che aveva impregnato le tende, l’imbottitura delle sedie, i fogli delle ricevute e il silenzio che avvolgeva gli abiti, le giacche, i cappotti, i pantaloni sospesi a mezz’aria pronti ad essere ritirati, puliti e stirati alla perfezione; quell’odore di violette, chiudendo gli occhi, Veronica avrebbe potuto sentirlo in ogni ricordo della sua vita. 

venerdì 1 marzo 2013

Allora, ce lo prendiamo questo caffè? Cronaca di un appuntamento

C’è stato un tempo in cui ci frequentavamo con una certa assiduità, ma da un paio d’anni ci siamo persi di vista. Il desiderio di dedicarGli il mio tempo è rimasto intatto, ma per un motivo o per un altro c’era sempre qualcosa da considerare, da vedere, da fare. Negli ultimi tempi, però, il Suo pensiero si è fatto ostinato, siamo tornati a corteggiarci con insistenza; mi aveva già invitata altre volte, eppure ci si era sempre messo il mondo di traverso. Ieri, però, quando mi ha chiesto di prendere insieme questo caffè, non ho potuto rifiutare.

Così la giornata è trascorsa interamente protesa verso quell’orario e quell’appuntamento: ho programmato tutto con cura, come sempre, mi sono preoccupata di non lasciare niente al caso. Mi sono  presa il tempo di cui avevo bisogno per stare con me stessa e prepararmi a quest’incontro, a riscoprire quell’emozione inconfondibile che solo un amante come Lui ha saputo darmi. Ho aspettato con ipocrita indifferenza che arrivasse l’ora di prepararmi, incapace di fare o pensare ad altro.

L’acqua calda della doccia mi è scivolata addosso senza calmare la leggera inquietudine di sempre. Ho asciugato i capelli con una cura maniacale: i miei ricci oggi devono essere perfetti. Mi sono truccata il viso con lentezza, scegliendo con calma i colori, insistendo col mascara perché le mie ciglia fossero arcuate. Ho indossato il vestito che mi piace di più, ho modellato i leggings perché fossero ben tesi, ho litigato con qualche piega di troppo. Ho infilato gli stivali e mi sono guardata allo specchio. Oggi, devo essere al meglio delle mie possibilità, devo sentirmi accettabile; e non mi interessa affatto lo sguardo degli altri o se sarò adatta o meno alla situazione, ciò che conta è che è Lui che dovrà vedermi così. 

Mi ci sono impegnata per non arrivare in anticipo, ma come sempre esco di casa troppo presto, incapace di attendere oltre. L’aria gelida della sera stende le rughe del volto e per un battito di ciglia mi tranquillizza. Mentre la pietra levigata delle strade del centro mi scorre sotto i piedi, non riesco a non pensare a Lui, e a come ho fatto a rimanerci lontana tutto questo tempo.

Arrivo a destinazione con il mio canonico quarto d’ora di anticipo: attendo impaziente camminando avanti e indietro, inventandomi messaggi al cellulare da leggere, concentrandomi di fronte a locandine che non ricordo, mostrando interesse, ma non posso aspettare troppo a lungo: perciò entro, faccio un po’ la finta tonta in giro, e alla fine arriva il momento che aspettavo. Salgo le scale quasi di corsa, sorrido quando sulla parete leggo la targhetta placcata in oro: II ordine. È il mio. Le due ante della porta a battenti che mi trovo davanti sono indicate come “10”. Cammino a ritroso finchè non trovo il “4”. Eccolo, è il mio palco. Ci entro e guardo la platea sottostante che si riempie di gente: sono loro, i miei compagni di viaggio per questa sera. Per un frammento di tempo non calcolabile condivideremo qualcosa che sarà solo nostro, irripetibile così come si svolgerà oggi. È un brivido lungo la schiena il comparire degli attori, lo spegnersi delle luci, il concentrarsi degli sguardi di tutti sul palco dove andrà in scena “Romeo e Giulietta”.

È l’inizio della magia quando si fa il silenzio, un silenzio carico di attesa in cui un colpo di tosse, una sedia che si sposta, un cappotto che scivola dalle braccia, un respiro in più si amplificano e preparano la prima parola declamata in quel tono impostato ma chiaro che parte dal basso del palco di legno e nell’acustica quasi perfetta del teatro sale su fino al loggione, unendo tutti noi spettatori con lo stesso dorato filo dell’attenzione, per catapultarci in un mondo parallelo per due ore. Per due ore loro, la compagnia Factory (loro, per intenderci: http://www.youtube.com/watch?v=UFW6HcGn6q4) riuscirà nel miracolo di tenerci separati dal resto del mondo che fuori continuerà la sua vita, ma per noi, gentilmente, si ferma, e ci consente di partecipare della storia d’amore impossibile più famosa, forse, di farci vivere dei dubbi, delle gioie e degli affanni adolescenziali di questi ragazzi innamorati che si affacciano alla vita adulta che con loro non avrà pietà (qui in una versione adattata estremamente interessante e con una Balia con un accento salentino poco veronese). Per due ore è d’obbligo tenere il cellulare spento, per due ore nessun problema e nessuna preoccupazione sono ammessi, per due ore esiste solo l’amore di Romeo e Giulietta e l’indifferenza bieca delle loro famiglie, per due ore esiste solo la magia che ci rende tutti spettatori dello stesso miracolo.

Le luci in sala si riaccendono, gli attori alla ribalta si prendono i nostri applausi e tornano ad essere uomini e donne con le loro vite uguali e diverse nella quotidianità di un mondo frenetico che non conosce magia. Ma intanto, per due ore, ci hanno regalato un pezzo di sogno. E  mentre lascio il palco ed esco per strada nel freddo della notte che si avvicina, sorrido di quanto potremmo essere lontani, io e il Teatro, e di quanto comunque non saprei smettere di amarlo.